martedì 16 agosto 2016

SALVINI E LA TEORIA DEL MIDOLLO

Saremo anche privi di midollo, come ha definito il segretario della Lega tutti coloro che non sono d’accordo con la “pulizia etnica controllata e finanziata”, propagandata da lui stesso all’ultimo comizio a Ponte di Legno, ma continuiamo a considerare la pulizia etnica una pratica umana di natura fascista e razzista.
            A sentire le parole pronunciate da Salvini durante il suddetto comizio emerge una riflessione. Di solito nel corpo umano c’è un perfetto equilibrio tra i vari organi e apparati che lo compongono e l’eccessivo sviluppo di uno dei componenti è associato di solito ad un deficit nello sviluppo di altri componenti.
            Per cui, quando un persona si presenta vestita da poliziotto, come ha fatto Salvini a Ponte di Legno, e comincia a pronunciare frasi del tipo: "Quando saremo al governo polizia e carabinieri avranno mano libera per ripulire le città", oppure “gli italiani oppressi dai clandestini”, o ancora “le "zecche", i lavavetri, i mendicanti, gli immigrati in fila all'ospedale: sono i mali principale della società: "Prendiamo un bel furgone, li carichiamo lì e li molliamo in mezzo al bosco a 200 chilometri, così ci mettono un po' a tornare"..”, ebbene sorge spontanea una domanda: non è che l’eccessivo sviluppo del midollo comporta una ridotto sviluppo del cervello?  Infatti se il midollo in questione è quello spinale, che è in continuità anatomica con l’encefalo, è abbastanza verosimile che si verifichi tale eventualità.
            Scherzi a parte, è improbabile che il segretario della Lega abbia un problema di neurosviluppo. Anche perché coloro che soffrono veramente di questo problema sono persone molto più serie.
            Il problema di Salvini non sta nelle sue cellule nervose, ma nell’uso che ne fa, come d’altronde di tutti i razzisti di tutti i tempi e di tutti i luoghi. Purtroppo la storia umana è talmente costellata di pulizie etniche, discriminazioni di ogni sorta e crimini contro l’umanità, che al momento il termine “storia” potrebbe tranquillamente essere sostituito dal termine più appropriato di “preistoria”. La vera e propria storia “umana” deve ancora cominciare.
            Fin quando ci saranno leader politici che non sono capaci di muoversi in un orizzonte più ampio di quello raggrinzito attorno alla semplice percezione del presente; fin quando si continuerà a propugnare la conservazione di un ordine basato sulle differenze razziali, sessuali e sociali; fin quando, infine e soprattutto, si continuerà a considerare l’altro come un oggetto che, se non serve, deve stare a 200 chilometri di distanza, ebbene, fin quando ci sarà tutto questo il primo passo dalla preistoria alla storia non sarà stato ancora compiuto.
            Ma l’umanità questo passo lo farà, nonostante la palla al piede sia ancora molto pesante. E quando quel passo sarà compiuto, tutti i Salvini di questo mondo dovranno usare ben altri organi. Troppo facile usare solo il midollo.                 



Roma, 16 agosto 2016

domenica 20 marzo 2016

REFERENDUM COSTITUZIONALE: NON SOLO “NO”


 
Un passo fondamentale per i veri democratici sarà quello di votare e far votare “No” al referendum sulla legge di revisione costituzionale adottata dall’attuale governo italiano. Un disegno di legge costituzionale che è il frutto di un lungo processo di imposizione di contro-riforme dettate dalle più importanti istituzioni europee e mondiali, dalla commissione europea alla BCE, dal FMI al G-8, sin dagli anni ‘80.

Sono contro-riforme perché, contrariamente al significato del termine “riforma”, cioè “cambiamento”, hanno come obiettivo la “conservazione” della proprietà finanziaria dei mezzi di produzione, che si traduce nel mantenimento del potere nelle mani di una minoranza che, in quanto detentrice di gran parte della ricchezza mondiale, assoggetta tutti gli altri alle proprie regole.   

E come potrebbe essere assicurato tale obiettivo “conservatore” se non attraverso la riduzione, non solo delle tutele dei lavoratori e dello stato sociale, ma anche di ogni autonomia politica? A che cosa mirerebbe infatti, se non all’azzeramento di ogni dissenso, il disegno di legge governativo che prevede la soppressione del Senato eletto direttamente dal popolo, con l’ulteriore concentrazione di potere nelle mani dell’esecutivo, e una legge elettorale che prevede la costituzione di un’assemblea parlamentare drogata da premi di maggioranza sempre più alti regalati ad un solo partito?

Purtroppo tutto ciò che è stato realizzato per costituire l’Unione Europea si è tradotto in tentativi sempre più aggressivi di cancellazione delle costituzioni nazionali, soprattutto quelle, come la costituzione italiana, in cui è più evidente il riconoscimento e il rispetto dei diritti umani fondamentali. La speranza di superare in un prossimo futuro le barriere e i confini tra stati nazionali per costruire un’unica nazione umana, prima regionale e poi universale, non può essere realizzata fino a quando non verrà destituito quel potere finanziario che impedisce ogni tentativo di evoluzione con ogni mezzo: dal più subdolo, come l’inserimento del pareggio di bilancio nelle costituzioni, al più esplicitamente violento, come la repressione e il terrorismo.

Appare quindi evidente che qui non si tratta soltanto di andare a votare e dire “No”.

Qui si tratta di riappropriarsi della speranza. La speranza in cosa?

La stessa Costituzione può darci qualche valido suggerimento, ma indubbiamente l’obiettivo principale della nostra speranza è l’istituzione di una democrazia “reale”, cioè di una democrazia che è ovunque, in ogni luogo e soprattutto da inserire laddove non c’è ancora.

Questo significa che l’ordine di chi oggi domina sulla società attraverso la proprietà dei mezzi di produzione dev’essere destituito. Non è più ammissibile, per esempio, che tali proprietari continuino a concedere lavoro solo alle proprie condizioni, come ampiamente dimostrato dal tanto sbandierato “Jobs Act” di cui l’attuale governo va così fiero.

Quindi la suddetta destituzione dell’ordine finora stabilito deve necessariamente avvalersi del superamento dell’attuale democrazia “formale”, che non mette in discussione il dominio sulla vita delle persone anzi lo rafforza, ad opera di una democrazia “reale”, cioè di una democrazia a dir poco totale, in cui le regole non sono più imposte da chi detiene il potere economico, ma sono autonomamente decise ed adottate da una collettività che partecipa con pari diritti alla gestione della produzione.

Di conseguenza, se di riforma costituzionale c’è bisogno, può essere solo nella direzione di un reale “cambiamento” e non della “conservazione”. Una vera riforma costituzionale dovrebbe avere il solo scopo di rendere più facile la diffusione della democrazia in ogni luogo, in ogni contesto, ovunque.

La lotta per la difesa della Costituzione dagli attacchi dell’attuale governo, quindi, è solo una necessaria premessa.

La democrazia non va solo difesa. La democrazia va diffusa in ogni luogo e in ogni momento, solo così può diventare “reale”.

A livello politico questo significa non solo respingere le contro-riforme, ma proporre riforme costituzionali che, per esempio, rendano le assemblee elettive il più rappresentative possibile attraverso un sistema elettorale proporzionale, che diano la possibilità di presentare liste di candidati a tutti i partiti legalmente costituiti senza ulteriori requisiti come la raccolta di migliaia di firme, che amplino gli strumenti di democrazia diretta prevedendo referendum non solo abrogativi ma anche propositivi, che diano la possibilità ai cittadini di destituire gli eletti che non mantengono le promesse elettorali tramite una “legge di responsabilità politica”.

Che cos’è tutto questo? Rivoluzione? Può darsi. Sicuramente la costruzione di un movimento con queste speranze darebbe un nuovo senso all’antica lotta degli oppressi contro gli oppressori, dove gli oppressori sono i detentori del potere economico-finanziario e gli oppressi sono tutti coloro che, sotto il ricatto della sopravvivenza, devono sopportare l’asservimento ad essi.       

Una lotta dura, perché nulla sarà gentilmente concesso. Per questo l’indignazione non basta. Ciò che serve e che sostiene veramente è solo la speranza.

E la speranza va nutrita, ogni giorno.

Anche per questo la vera rivoluzione non è domani. La vera rivoluzione è ora.

 
Roma, 18 marzo 2016