martedì 29 gennaio 2008

GUARDAMI KENIA


Guardami Kenia.
Guardami, fammi sentire la tua presenza,
il tuo affanno mentre corri,
mentre schivi i proiettili,
quei proiettili che bucano la nostra terra,
la nostra terra dove cade tua madre,
tua madre che ti fa l’ultimo sorriso,
un sorriso rosso che continua fino a giù,
fino a bagnare di rosso la nostra terra.

Guardami Kenia.
Guardami, toccami,
fammi sentire il tremore delle mani,
quelle mani talmente sporche da essere pulite, troppo pulite
per chi ha le mani talmente pulite da essere sporche,
sporche e rosse,
rosse come la terra dove è caduta tua madre.

Guardami Kenia.
Guardami e sentimi,
senti il mio cuore con le tue mani,
le tue mani che tremano come il mio cuore,
il tuo cuore che trema come le mie mani,
le mie mani così, sul tuo cuore,
le tue mani così, sul mio cuore.

Guardami Kenia.
Non abbassare lo sguardo,
lo sguardo che voglio accarezzare.
Piangi Kenia? Sì Kenia, piangi.
Fai scendere le tue limpide lacrime,
falle scendere fino al cuore,
il cuore che non trema più,
no, ora non trema più.
Limpide e potenti quelle lacrime,
lacrime di un nuovo coraggio.

Guardami Kenia.
Guardami come ti guardava tua madre,
tua madre felice,
felice di vedere i suoi figli camminare,
camminare sicuri verso il futuro,
un futuro pulito,
pulito come le tue mani sporche di terra,
le tue mani che ora no, non tremano più.

Carlo Olivieri
medico umanista

29 gennaio 2008

venerdì 25 gennaio 2008

QUANDO I NODI VENGONO AL PETTINE


“La mia non è testardaggine, ma coerenza”. Queste le parole di Romano Prodi, che ha preferito consumare apertamente la crisi del suo governo in Parlamento, anziché recarsi subito al Quirinale per rassegnare le dimissioni. Forse tra gli intenti dell’ex-presidente del consiglio, con questo rispettabile atto, c’era anche la volontà di riscattare l’immagine di un governo che non ha certo brillato per coerenza. Ma, ovviamente, recitare nell’ultimo dei 618 giorni del suo governo la parte del “leone ferito ma fiero”, non può cancellare ciò che è successo negli altri 617 giorni.
Ciò che invece possiamo constatare è che proprio l’incoerenza delle decisioni e delle non-decisioni, delle azioni e delle non-azioni, rispetto al programma con cui la coalizione di centrosinistra si era presentato di fronte agli elettori, ha dominato l’operato di questo governo sin dalle prime battute.
Alla fine i nodi al pettine sono arrivati. Per quasi due anni il governo e la maggioranza che lo sosteneva hanno cercato di nasconderli ma, si sa, se i nodi non li sciogli, diventano sempre più numerosi fino a diventare una matassa inestricabile e, prima o poi, inevitabile.
Non si può governare a lungo, democraticamente, senza il consenso dei cittadini. L’alternativa sarebbe, altrimenti, una dittatura. A maggior ragione doveva farlo questo governo, sostenuto da una maggioranza che aveva ottenuto solo 25mila voti in più rispetto all’opposizione. Invece è successo, molto spesso, che al di sopra degli interessi generali della maggioranza degli elettori ci fossero, nell’agenda del governo, gli interessi particolari di pochi potenti.
Molte famiglie si aspettavano, per esempio, di uscire dal pantano della precarietà e dell’insicurezza economica in cui erano sprofondati col precedente governo di centrodestra, ma quelle stesse famiglie continuano ancora oggi a non arrivare alla fine del mese. Doveva essere cancellata la legge 30 che istituzionalizzava il precariato, ma questo governo non lo ha fatto.
Molti immigrati si aspettavano che finalmente sarebbe cambiata la politica sull’immigrazione, ma i centri di permanenza temporanea sono sempre lì, come sempre lì sta la legge più razzista della storia repubblicana, la legge Bossi-Fini.
Molti cittadini si aspettavano un altro atteggiamento in politica estera ma, a parte una scontata uscita dall’inferno irakeno, migliaia di soldati italiani continuano ad essere protagonisti di occupazioni, come quelle in Afghanistan e in Libano, che nulla hanno a che vedere con la pace e la democrazia, rischiando ogni giorno la propria vita in nome di un comportamento servile nei confronti del cosiddetto “alleato americano”. Comportamento servile che si è ripetuto quando si è trattato di approvare il raddoppio della base Usa di Vicenza, nonostante le grandi manifestazioni di dissenso e una prima crisi di governo.
Molti elettori si aspettavano che venisse finalmente varata una legge sulle unioni di fatto, ma un altro comportamento servile, questa volta nei confronti del Vaticano, lo ha impedito, dopo vari tentativi di compromesso, tra l’anima laica e l’anima chierichetta della maggioranza, che avevano partorito, invece dei Pacs, due topolini: prima i DiCo e poi i Cus.
Molti elettori si aspettavano una legge sul conflitto di interessi, un tormentone che ci affligge dalla “scesa in campo” di Berlusconi del ‘94, ma si riesce solo a concepire una legge assolutamente blanda ed inefficace che comunque non è arrivata neanche ad essere discussa in Parlamento, forse perché Berlusconi non è il solo a trovarsi continuamente in una condizione di conflitto di interessi.
Molti elettori si aspettavano una politica sulla sicurezza che non fosse la solita risposta isterica e fascista, basata sulla cacciata degli stranieri dal suolo patrio e sull’ennesimo inasprimento delle pene. Invece si comincia con un indulto a cui però non fa seguito una politica di riforme in ambito penale che desse un senso a quell’indulto. Ed invece di concentrarsi sul far discutere in Parlamento una legge che introducesse il reato di tortura anche in Italia, si vara un decreto-sicurezza buono solo a far crescere l’ansia dei lavavetri ed i portafogli di chi lucra sull’immigrazione resa clandestina da leggi discriminatorie.
Queste ed altre incoerenze sono il vero motivo della caduta del governo. Di fronte ad un consenso popolare reso invece crescente dalla coerenza tra le parole e i fatti, i vari Mastella e Dini ci avrebbero pensato mille volte in più prima di ufficializzare in Parlamento una crisi che nei fatti era già cominciata da più di un anno.
Questa crisi dimostra per l’ennesima volta che un sistema politico basato sulla distanza tra il Palazzo e la cittadinanza non può reggere. C’è una Costituzione che da 60 anni ci avverte, nei suoi principi fondamentali, che la Repubblica italiana è una democrazia basata sul lavoro, sul ripudio della guerra, sulla partecipazione dei cittadini alla vita politica e sociale del paese, sulla partecipazione dei lavoratori alla gestione delle aziende, sulla salute e sull’istruzione garantite a tutti, sulla parità di tutti di fronte alla legge, sulla necessità che ogni cittadino possa garantire a sé e alla propria famiglia un’esistenza libera e dignitosa, sul pieno sviluppo della persona umana.
Ognuno di questi punti sanciti dalla nostra Costituzione rappresenta un nodo da sciogliere e non sarà una nuova legge elettorale a frenare il percorso di decadenza che il nostro paese ha intrapreso ormai da molti anni. Più si chiudono gli spazi alla partecipazione diretta, come è sempre stato nell’intento delle svariate leggi elettorali che si sono susseguite negli ultimi 15 anni, più ci si allontana dalla Costituzione e, quindi, dalla democrazia.
Ma evidentemente la classe politica attuale, lontano purtroppo dall’essere muta, è ormai del tutto sorda e cieca. Sono i cittadini che devono prendere in mano le redini di questo paese, direttamente. Guardiamo insieme questi nodi, lavoriamo per scioglierli e quindi andiamo avanti, con pace, forza ed allegria.

Roma, 25 gennaio 2008

Carlo Olivieri
medico umanista

mercoledì 9 gennaio 2008

LA SOLITA SCELTA


Che strazio. Nonostante le ultime decisioni governative, la questione dei rifiuti in Campania ancora una volta non verrà risolta. I nostri amministratori, sia a livello locale che nazionale, sono riusciti a far arrivare la situazione ad un tale livello di emergenza che ora qualsiasi soluzione sarà presa per affrontarla avrà il carattere di un’azione tamponante e, quindi, in quanto tale, sicuramente non adeguata a risolvere veramente il problema.
Questo sembra essere ormai l’unico metodo di risoluzione dei problemi che i governi mettono in atto. Fatte le dovute differenze, infatti, molti conflitti che non riguardano immediatamente i paesi ricchi del mondo vengono ignorati per anni e anni, fino al momento in cui, arrivati ad un punto di tensione tale da mettere in pericolo gli interessi dei suddetti paesi ricchi, si interviene solo con gli eserciti e con le armi. Interventi, cioè, che non hanno certo lo scopo di risolvere, ma solo di contenere quei conflitti, in modo tale che non diano fastidio.
Ed è così che è stato gestito anche il problema dei rifiuti in Campania. Per anni e anni questo è stato considerato un problema che solo i napoletani avrebbero dovuto risolvere, senza dare molto fastidio alle aree più ricche del paese. Nel frattempo politici locali poco raccomandabili e bande camorristiche senza alcuno scrupolo hanno accumulato miliardi a palate su quello che si è rivelato un enorme affare. Ora il problema rischia di diventare molto dannoso per tutto il paese, comprese le aree più ricche. Compresi tutti coloro che rischiano di non poter più usufruire degli stanziamenti comunitari collegati all'attuazione di progetti nel campo dello smaltimento di rifiuti. Di conseguenza il governo ha preso la solita decisione: invio dell’esercito e nomina a commissario straordinario di un ex capo di polizia.
Per completare il quadro non si può non rilevare che il provvedimento governativo prevede, inoltre, anche con il consenso del ministro verde Pecoraro Scanio, la costruzione di tre inceneritori in Campania. Ecco quindi che si spiana la strada per la realizzazione di quegli impianti di termovalorizzazione contro cui si battono tanti comitati di cittadini e tante associazioni ambientaliste e contro cui finora si era battuto anche Pecoraro Scanio.
Si potrebbe ipotizzare che l’emergenza rifiuti sia stata portata fino a tal punto di insopportabilità anche per superare in un sol colpo le resistenze rispetto ad impianti di questo genere? Sì, si può ipotizzare.
L’affare in questione non è di poco conto. Tutti gli italiani pagano ogni anno 140 milioni di euro ai gestori degli inceneritori, soldi che potrebbero invece essere usati per lo sviluppo di impianti, come quelli fotovoltaici, idro-elettrici ed eolici, che potrebbero renderci energeticamente autonomi.
Invece siamo costretti a pagare di più per un sistema di recupero energetico, come quello dei termovalorizzatori, neanche tanto sicuro, mentre potremmo pagare molto di meno se affidassimo il recupero energetico a più sicure tecniche biologiche a "freddo", quali compostaggio, digestione anaerobica e bio-ossidazione.
Se a tutto questo si aggiunge la risposta ben poco solidale delle altre amministrazione regionali alla richiesta del governo di accogliere una parte delle 120mila tonnellate di rifiuti accumulatesi in Campania, si può senz’altro concludere che l’egoismo è il fondamentale errore di calcolo che domina in tutta l’intera vicenda.
La stessa politica assumerebbe ben altri connotati se solo ci si decidesse a trattare gli altri come si vorrebbe essere trattati. Chi è disposto ad uscire finalmente dall’errore egoistico sarà in grado di prendere in considerazione tutte le soluzioni migliori. Solo per chi è disposto a fare questo un altro futuro è possibile. Chi non lo è, invece, è pregato di farsi da parte in tempo, prima che diventi un altro rifiuto. Ne abbiamo già troppi.

Roma, 9 gennaio 2008

Carlo Olivieri
medico umanista

venerdì 4 gennaio 2008

UNA PERICOLOSA IPOCRISIA


Poteva essere una strage. La sera del 3 gennaio è divampato un incendio nell’ex stabilimento della Mira Lanza a Roma, dove si erano rifugiati circa 90 migranti, tra cui una trentina di bambini. Evidentemente abituati a fuggire, i rifugiati non hanno perso tempo e sono scappati da quella che poteva essere una trappola mortale.
Come è possibile che questo accada in una città come Roma? Una città che si autodefinisce “capitale della pace della nonviolenza”, che addirittura si erge a lanciare un monito al mondo intero, illuminando a giorno il Colosseo, affinché si approvi la moratoria universale contro la pena di morte.
In una città come questa, insomma, i più elementari diritti umani vengono dimenticati, lasciando che 90 persone mettano a repentaglio la propria vita rifugiandosi in una fabbrica abbandonata e pericolante perché non hanno un posto migliore dove andare.
Non è un’iniezione letale o una fucilata alla nuca che può uccidere queste persone, ma sicuramente il lasciarle in tali condizioni di abbandono si avvicina molto, visto ciò che rischiano, ad una condanna a morte.
Ecco cosa si nasconde, quindi, dietro la vetrina di Roma, fatta di concerti e spettacoli, roboanti dichiarazioni e stucchevole autoreferenzialità: una politica irresponsabile e distratta, sempre più impegnata in inutili controversie tra un centrosinistra che ha perso da tempo il bandolo della matassa e una destra sempre più stupida e discriminatoria.
Nel frattempo, a Roma come nel resto d’Italia, centinaia di migranti rischiano ogni giorno di morire in posti in cui neanche i cani randagi hanno il coraggio di rifugiarsi, centinaia se non migliaia di persone condannate a rischiare la loro vita ogni giorno.
Di fronte a questa realtà che cosa rimane dell’Italia che chiede la moratoria universale contro la pena di morte; dell’Italia che pretende, insieme agli altri paesi europei, il rispetto dei diritti umani dai nuovi paesi che dovrebbero entrare nell’Unione Europea? Solo belle parole, qualche fotografia di rito e una grande ipocrisia.
I diritti umani sono una cosa seria. Non lasciamoli in mano a questi irresponsabili.

Roma, 4 gennaio 2008

Carlo Olivieri

medico umanista