Sono
contro-riforme perché, contrariamente al significato del termine “riforma”,
cioè “cambiamento”, hanno come obiettivo la “conservazione” della proprietà
finanziaria dei mezzi di produzione, che si traduce nel mantenimento del potere
nelle mani di una minoranza che, in quanto detentrice di gran parte della
ricchezza mondiale, assoggetta tutti gli altri alle proprie regole.
E
come potrebbe essere assicurato tale obiettivo “conservatore” se non attraverso
la riduzione, non solo delle tutele dei lavoratori e dello stato sociale, ma
anche di ogni autonomia politica? A che cosa mirerebbe infatti, se non
all’azzeramento di ogni dissenso, il disegno di legge governativo che prevede
la soppressione del Senato eletto direttamente dal popolo, con l’ulteriore
concentrazione di potere nelle mani dell’esecutivo, e una legge elettorale che
prevede la costituzione di un’assemblea parlamentare drogata da premi di
maggioranza sempre più alti regalati ad un solo partito?
Purtroppo
tutto ciò che è stato realizzato per costituire l’Unione Europea si è tradotto
in tentativi sempre più aggressivi di cancellazione delle costituzioni
nazionali, soprattutto quelle, come la costituzione italiana, in cui è più
evidente il riconoscimento e il rispetto dei diritti umani fondamentali. La
speranza di superare in un prossimo futuro le barriere e i confini tra stati
nazionali per costruire un’unica nazione umana, prima regionale e poi
universale, non può essere realizzata fino a quando non verrà destituito quel
potere finanziario che impedisce ogni tentativo di evoluzione con ogni mezzo:
dal più subdolo, come l’inserimento del pareggio di bilancio nelle
costituzioni, al più esplicitamente violento, come la repressione e il
terrorismo.
Appare
quindi evidente che qui non si tratta soltanto di andare a votare e dire “No”.
Qui
si tratta di riappropriarsi della speranza. La speranza in cosa?
La
stessa Costituzione può darci qualche valido suggerimento, ma indubbiamente l’obiettivo
principale della nostra speranza è l’istituzione di una democrazia “reale”,
cioè di una democrazia che è ovunque, in ogni luogo e soprattutto da inserire
laddove non c’è ancora.
Questo
significa che l’ordine di chi oggi domina sulla società attraverso la proprietà
dei mezzi di produzione dev’essere destituito. Non è più ammissibile, per
esempio, che tali proprietari continuino a concedere lavoro solo alle proprie
condizioni, come ampiamente dimostrato dal tanto sbandierato “Jobs Act” di cui
l’attuale governo va così fiero.
Quindi
la suddetta destituzione dell’ordine finora stabilito deve necessariamente
avvalersi del superamento dell’attuale democrazia “formale”, che non mette in
discussione il dominio sulla vita delle persone anzi lo rafforza, ad opera di
una democrazia “reale”, cioè di una democrazia a dir poco totale, in cui le
regole non sono più imposte da chi detiene il potere economico, ma sono
autonomamente decise ed adottate da una collettività che partecipa con pari
diritti alla gestione della produzione.
Di
conseguenza, se di riforma costituzionale c’è bisogno, può essere solo nella
direzione di un reale “cambiamento” e non della “conservazione”. Una vera
riforma costituzionale dovrebbe avere il solo scopo di rendere più facile la
diffusione della democrazia in ogni luogo, in ogni contesto, ovunque.
La
lotta per la difesa della Costituzione dagli attacchi dell’attuale governo,
quindi, è solo una necessaria premessa.
La
democrazia non va solo difesa. La democrazia va diffusa in ogni luogo e in ogni
momento, solo così può diventare “reale”.
A
livello politico questo significa non solo respingere le contro-riforme, ma
proporre riforme costituzionali che, per esempio, rendano le assemblee elettive
il più rappresentative possibile attraverso un sistema elettorale proporzionale,
che diano la possibilità di presentare liste di candidati a tutti i partiti
legalmente costituiti senza ulteriori requisiti come la raccolta di migliaia di
firme, che amplino gli strumenti di democrazia diretta prevedendo referendum
non solo abrogativi ma anche propositivi, che diano la possibilità ai cittadini
di destituire gli eletti che non mantengono le promesse elettorali tramite una
“legge di responsabilità politica”.
Che
cos’è tutto questo? Rivoluzione? Può darsi. Sicuramente la costruzione di un
movimento con queste speranze darebbe un nuovo senso all’antica lotta degli
oppressi contro gli oppressori, dove gli oppressori sono i detentori del potere
economico-finanziario e gli oppressi sono tutti coloro che, sotto il ricatto
della sopravvivenza, devono sopportare l’asservimento ad essi.
Una
lotta dura, perché nulla sarà gentilmente concesso. Per questo l’indignazione
non basta. Ciò che serve e che sostiene veramente è solo la speranza.
E
la speranza va nutrita, ogni giorno.
Anche
per questo la vera rivoluzione non è domani. La vera rivoluzione è ora.