sabato 10 gennaio 2009

GELMINI LA SANGUISUGA


E così, infine, il decreto sull’Università della ministra dell’Istruzione Gelmini, mediante l’ennesimo voto di fiducia della Camera, è diventato legge. Secondo il governo e la maggioranza che lo sostiene, con questa legge “l’Università cambia”. Può darsi, ma in che direzione? Dal nostro punto di vista sarebbe meglio che questo cambio non avvenisse, perché sarebbe un cambio verso condizioni peggiori.

D’altronde sono diversi anni che sull’istruzione la politica governativa, sia di centrosinistra che di centrodestra, si sta sbizzarrendo in trovate fantasiose che però si rivelano, puntualmente, dei veri e propri fallimenti.
Per esempio, uno degli ultimi prodotti della creatività dei nostri governi - cioè il nuovo ordinamento che prevede una laurea triennale di primo livello e una laurea specialistica di due anni - si è dimostrato, dopo 6 anni dall’inizio della sua applicazione, un clamoroso flop: aumentano gli studenti fuori corso e gli abbandoni, cresce oltre ogni decenza il numero degli insegnamenti e quindi delle cattedre da assegnare, aumentano di un terzo le spese del sistema universitario.
Dopo sei anni non si può registrare un solo dato positivo. È vero che un po’ di fantasia al potere farebbe bene, ma forse sarebbe meglio specificare che tipo di fantasia. La fantasia è pur sempre il prodotto del lavoro di cervelli, ma se questi cervelli non sono neanche in grado di portare avanti la gestione ordinaria delle cose – come più volte abbiamo avuto l’occasione di constatare – figuriamoci cosa possono produrre quando pretendono addirittura di lavorare per dare una pur necessaria svolta al sistema scolastico e universitario italiano.

E così, di fantasia in fantasia, oggi ci ritroviamo con l’ennesima pretesa – targata Gelmini - di riformare l’Università. Seguendo il ragionamento precedente, che tipo di “creazione” potevamo aspettarci dai cervelli che costituiscono l’attuale governo? Un governo presieduto da un imprenditore è facile che basi le sue decisioni su una logica aziendalista. Quindi non ci sorprende affatto che anche la legge in questione preveda, per esempio, che sia il bilancio a stabilire quali siano gli atenei “meritevoli”, creando di fatto le condizioni, non per una spinta ad un miglioramento delle capacità della nostra università di creare sapere e cultura, ma per una mera differenziazione tra atenei di serie A e atenei di serie B sulla base della loro semplice capacità di far di conto.
Pur accettando questa logica aziendalista, cosa si dovrebbero aspettare questi atenei “virtuosi”? Di ricevere semplicemente un po’ di soldi in più, ma proprio un po’, visto che si tratta di spartirsi un ridicolo 7% di un ancor più ridicolo fondo di finanziamento ordinario, visto che ormai l’Italia risulta, con un miserevole 4,4% del Pil, sestultima nell’Ue riguardo alla spesa per l’istruzione.

Altro che premio al merito! Se proprio vogliamo dirla tutta, vengono confermati tagli non indifferenti alla spesa per l’Università e non verranno sostituiti tutti gli insegnanti che andranno in pensione. Per cui i premi ai più virtuosi non sono soldi in più ma null’altro che un taglio meno consistente: mentre gli atenei meno meritevoli potranno sostituire solo il 20% degli insegnanti in pensione, quelli più meritevoli ne potranno sostituire ben il 50%! Cosa vuol dire tutto ciò agli occhi di chi ancora non si è lasciato ipnotizzare dalla baraonda mediatica che ha accompagnato l’approvazione della legge Gelmini? Che alcuni atenei non potranno sostituire 8 insegnanti su 10 di coloro che andranno in pensione, mentre altri atenei – quelli risultati più virtuosi - non potranno sostituirne 5 su 10.

Ma non finisce qui. Si sa: quando si comincia a creare non ci si ferma più. La legge Gelmini prevede, visto che va così di moda oggi, anche una norma “anti-fannulloni”: a partire dal 2009 verrà costituita l'Anagrafe nazionale dei professori e ricercatori universitari che riporta per ogni soggetto l'elenco delle pubblicazioni scientifiche prodotte. A cosa serve? Semplice. Serve a valutare l’impegno dei professori sulla base delle pubblicazioni prodotte durante un biennio. Non saranno le loro capacità d’insegnamento ad essere valutate, ma solo la destrezza con cui saranno in grado di produrre quante più pubblicazioni possibile. Chi non farà pubblicazioni si vedrà ridurre gli aumenti di stipendio biennali, cioè dai 30 ai 90 euro in meno. A parte l’inutilità del provvedimento, visto che un vero barone cosiddetto “fannullone” non se ne accorge nemmeno se ha ricevuto o meno i 90 euro di aumento, ciò che rende totalmente assurda tale norma sta nel fatto che 20mila giovani ricercatori saranno costretti a concentrarsi, non sulla ricerca e sull’insegnamento, ma sulla produzione di pubblicazioni di cui, già oggi, solo una piccolissima parte risulta essere veramente utile alla ricerca, mentre tutto il resto serve solo a fare curriculum. Da oggi serviranno anche a ricevere dai 30 ai 90 euro in più.

A questo hanno ridotto l’Università italiana. Dopo aver mortificato la scuola col ritorno ai grembiulini e al voto in condotta, l’attuale governo continua la sua azione devitalizzante propinandoci dietro un titolo altisonante – “disposizioni urgenti per il diritto allo studio, la valorizzazione del merito e la qualità del sistema universitario e della ricerca” – una legge che serve soltanto a fare cassa, succhiando ancora un po’ di sangue ad un sistema già in grave stato anemico come quello universitario.
Gli studenti, gli insegnanti, tutti i cittadini non si meritano tutto questo. Mettendo a repentaglio uno dei pilastri su cui si basa la vita ed il progresso di un popolo, cioè l’istruzione, questo governo, insieme a quelli che lo hanno preceduto negli ultimi 15 anni, non sta facendo un bel servizio al nostro paese.
Sembra inutile, a questo punto, cercare degni interlocutori che possano rappresentare degnamente nelle sedi istituzionali chi vuole difendere il diritto allo studio. Di fronte a chi vuole fare cassa sulla pelle degli studenti e degli insegnanti l’unica risposta valida può arrivare soltanto da chi vive, studia e lavora nella scuola e nelle università. Prima ce ne rendiamo conto e meglio sarà per tutti.

Roma, 10 gennaio 2009

Carlo Olivieri
umanista

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